LA MALEDUCAZIONE E’ UN VIRUS

Quando si parla di una possibile propagazione di un fenomeno virale, scatta l’allarme generale e – se non si può fuggire così lontani da scongiurarne l’infezione – si ricorre al vaccino.

Scienziati e medici sono riusciti – nel tempo – a sconfiggere la minaccia di morbi letali grazie alla elaborazione di agenti che, inoculati per tempo, hanno salvato decine di migliaia di vite umane.

Ma per poter sviluppare un vaccino, i ricercatori hanno dovuto prima scoprire la causa dell’epidemia e quindi isolare l’elemento contagioso.

Un nuovo virus: la maleducazione

In tempi recenti , alla Univerity of Florida è stata implementata un’identica procedura per rilevare un’inaspettata – ma non per questo meno pericolosa – minaccia virale: la maleducazione.

Gli studi ed i numerosi test condotti dal Prof. Trevor Foulk, docente di filosofia nella facoltà di Business Administration, hanno infatti confermato che quando si è vittime di comportamenti scortesi, si è indotti inconsapevolmente a diventare a propria volta più inclini alla maleducazione.

Nell’ approfondimento pubblicato sul Journal of Applied Psychology, Foulk sostiene che è sufficiente una singola esperienza per renderci più sgarbati: le interazioni con il mondo esterno sono percepite come più scortesi e la reazione a questa percezione sarà un atteggiamento più sgarbato verso gli altri.

Non solo: anche essere solo testimoni di un atteggiamento rude rivolto a terzi, ha lo stesso effetto contaminante.

La bambola di Bobo

Già negli anni ’60 lo psicologo Albert Bandura condusse una ricerca – conosciuta come “La bambola Bobo” – che dimostrò quanto i bambini siano inclini ad apprendere comportamenti aggressivi per imitazione, prendendo a modello il comportamento degli adulti.

In questo esperimento, condotto con bambini in età prescolare, i bambini che avevano osservato un adulto maltrattare un pupazzo gonfiabile (Bobo) manifestavano successivamente comportamenti più aggressivi mentre giocavano.

Ancora più spiacevole è la constatazione di come si evolva la catena comportamentale che scaturisce dall’effetto virale: più assistiamo alla maleducazione, più lo diventiamo con gli altri e questi ultimi a loro volta lo diventano sia con noi che con il resto del mondo.

Il virus della maleducazione in azienda

Uno dei test più evidenti è stato condotto nell’ambito della negoziazione.

I partecipanti si confrontarono con diversi partner in sequenza in un contesto negoziativo.

Coloro che avevano a che fare con un partner maleducato, nella negoziazione successiva con una persona diversa venivano percepiti da quest’ultima sgarbati, arrabbiati, ostili se non addirittura vendicativi.

Questi “portatori” di comportamenti negativi di seconda generazione a loro volta si espressero con simili modalità, anche quando l’occasione di negoziare nuovamente si presentò dopo diversi giorni dal primo esperimento.

Fino a poco tempo fa si presupponeva che l’individuo fosse propenso ad imitare atteggiamenti poco educati quando questi fossero adottati da persone con uno status più elevato, vale a dire genitori, capi e così via.

Le persone che si prendono a modello possono avere un’influenza sulle proprie maniere di porsi, perchè razionalmente si decide di ripetere uno schema di comportamento a cui ispirarsi.

Ma in Florida, attraverso ulteriori test comportamentali, si è capito che tramite un processo meno consapevole e non intenzionale, anche le persone considerate al proprio pari – come i colleghi – sono fonte di contagio.

E’ quindi ovvio che si possono acquisire attitudini poco educate senza nemmeno volerlo.

Ti comporti da “portatore”?

La Programmazione Neurolinguistica suggerisce che, quando si comunica, è importante soppesare l’effetto delle parole:

quando si utilizzano termini estremi (come: è intollerabile, sei terribile, è insopportabile e così via) si manda un messaggio “depotenziante” perché amplifica l’emozione negativa che si trasmette all’interlocutore, con tutte le conseguenze del caso: la persona si sente attaccata, oppone resistenza e attiva le proprie dinamiche di difesa.

Ed è facile scivolare nella maleducazione.

Decidendo di utilizzare termini meno aggressivi (è un inconveniente, hai avuto un comportamento poco utile, è fastidioso), probabilmente si raggiungono due obiettivi:

  • chi sta di fronte può valutare con maggiore obiettività quanto ascolta
  • diventa più ricettivo verso il messaggio che gli si invia

 

Allo stesso tempo si previene la degenerazione da dialogo sereno a discussione improduttiva.

Tenendo conto dei risultati di questi ultimi esperimenti, è ancor più importante calibrare il proprio linguaggio per non diventare “portatori” di un morbo di così facile propagazione.

Possiamo sperare che, come il virologo Jonas Salk realizzatore del primo vaccino contro la poliomielite, anche Foulk sintetizzi presto un agente che attivi i nostri anticorpi contro questo virus dilagante.