Perchè i nomi semplici contribuiscono al successo di aziende e beni di consumo?

A detta dei ricercatori Adam Alter e Daniel Oppenheimer, io sono nata molto fortunata.

Non perché ho avuto i miei natali nella splendida Italia o perché sono di genere femminile o per essere cresciuta in una famiglia di sani princìpi.

Secondo i suddetti sociologi, la mia grande fortuna sta in come mi chiamo: nome e cognome semplici, immediatamente comprensibili e facilmente memorizzabili.

E ciò – sempre sulla base delle loro ricerche, confortate da numerosi esperimenti – dovrebbe stimolare maggiore simpatia e una percezione positiva verso la mia persona.

Non so se ciò stia accadendo davvero: di certo ho da sempre apprezzato la facilità di comprensione del mio nome, più che altro perché raramente sono stata costretta a ripeterlo o a scandirlo durante le presentazioni a sconosciuti o di fronte a un qualsiasi sportello.

Un nome facile ha più successo

Eppure, sempre più studiosi delle neuroscienze ribadiscono le sorprendenti virtù della semplicità: un nome facile è potenzialmente la chiave del successo di aziende e di prodotti di consumo.

Per dimostrarlo, i sociologi hanno ideato vari test i cui strabilianti risultati confermano l’efficacia di questa affermazione.

In uno di questi, i partecipanti dovevano fare delle previsioni sull’andamento dei titoli azionari di varie aziende.

All’insaputa dei partecipanti, convinti di valutare le prestazioni di titoli reali, i nomi delle aziende coinvolte erano del tutto fittizi, e sono stati appositamente inserite nell’elenco sia società dal nome facilmente pronunciabile che altre con nomi più ostici.

Il risultato confermò che le previsioni di andamento furono ipotizzate positive per le aziende con nomi semplici, mentre si prevedevano tempi duri – o addirittura un crollo – per i titoli emessi da aziende con nomi faticosamente pronunciabili.

Eppure com’è possibile che solo una denominazione possa determinare il destino finanziario di un’azienda?

Le “scorciatoie” mentali

Malcom Gladwell introduce il concetto di “thin-slicing”, cioè la tendenza a prendere decisioni rapide valutando una più che esigua quantità di informazioni (in particolare quelle immediatamente disponibili).

Nel libro “Blink”, Gladwell sostiene che spesso facciamo affidamento alla nostra cognizione rapida, una strategia inconsapevole con cui il cervello trae conclusioni senza informarci del fatto che sta traendo conclusioni: una sorta di “pensare senza pensare”.

È una considerazione evidentemente ben nota da tempo a uno dei guru mondiali del branding:

David Placek, la cui società specializzata in azzeccare nomi per aziende e prodotti, ha generato brand internazionali fra cui BlackBerry, Pentium, Swiffer, Embassy Suite Hotel, Subaru Outback e molte altre icone del mercato attuale.

Dall’articolo “Famous Names” di Joe Colapinto, pubblicato su The New Yorker, si scoprono le origini di brand popolari in tutto il pianeta.

Come si costruisce il nome di un prodotto di successo?

Secondo Placek, il nome di un prodotto deve essere possibilmente corto ed è più efficace se segue uno schema pronunciabile, cioè combinazioni di sillabe che abbiamo imparato a riconoscere fin dall’infanzia.

Ma non basta: oltre a ciò, il vero scopo è quello di “raccontarne” la storia (è più veloce, più facile da usare, più potente) attraverso un appellativo che richiami queste caratteristiche, senza essere banali e nemmeno necessariamente logici.

Il caso Blackberry

Nel caso di BlackBerry, il lungo e travagliato processo per giungere a questo nome ha tenuto conto di parecchi elementi: l’associazione dei benefici salutari del frutto (blackberry è la traduzione in inglese di mora), l’aggettivo “black” (nero) che ricorda il colore prevalentemente utilizzato nei prodotti tecnologici ad alto livello e i tasti ovali che richiamano le more.

A ciò si aggiunge l’approfondimento prettamente linguistico secondo cui la lettera B – in qualsiasi lingua – è considerata una delle lettere dell’alfabeto che più evoca “affidabilità”; perché dunque non trarne vantaggio con una doppia B?

Lanciato nel 1999, BlackBerry è ancora oggi uno dei telefoni cellulari più conosciuti in tutto il mondo.

La sfida del PowerBook

Anche la genesi del nome “PowerBook” è opera di Placek: lo scopo era quello di far superare ai consumatori lo scetticismo diffuso rispetto all’abilità di Apple di creare un computer realmente portatile.

Dopo aver vagliato innumerevoli alternative fra gli oggetti di piccole dimensioni a cui metaforicamente associare il computer, fu scelto book (libro).

Le nozioni di velocità e di alta prestazione furono affidate alla parola Power (potenza); ecco quindi PowerBook.

Si narra che qualche dirigente di Apple inizialmente non fu così convinto da questa proposta, perché la considerava piatta e noiosa; la risposta di Placek a questa polemica fu molto convincente: “Sì, sono due parole molto comuni messe insieme, ma oggi non esiste nulla come il PowerBook!”

Lanciato nel 1991, il PowerBook diventò immediatamente un oggetto di culto.

Nel frattempo sto rapidamente compilando mentalmente un elenco delle persone che mi sono particolarmente simpatiche; con mia grande sorpresa, e con buona pace di Alter e Oppenheimer, gran parte hanno nomi (o cognomi) quasi impronunciabili!